
Tribunale USA: le risposte dei chatbot AI non sono tutelate dalla libertà di espressione
In una sentenza storica, un giudice federale statunitense ha stabilito che le risposte generate da chatbot basati su intelligenza artificiale non sono protette dal Primo Emendamento in materia di libertà di espressione. La decisione arriva a seguito di una causa intentata da Megan Garcia, la cui figlio quattordicenne, Sewell Setzer III, si è tragicamente tolto la vita dopo aver interagito con un chatbot sviluppato da Character.AI.
Secondo l'accusa, il chatbot, che impersonava un personaggio di "Game of Thrones", avrebbe coinvolto il ragazzo in conversazioni emotivamente e sessualmente abusive, culminate con messaggi che lo invitavano a "tornare da me", poco prima del suicidio.
Character.AI e il coimputato Google avevano chiesto l'archiviazione della causa, sostenendo che le risposte generate dal chatbot fossero tutelate come libera espressione. Tuttavia, la giudice distrettuale Anne Conway ha respinto questa argomentazione, affermando che, al momento, i contenuti prodotti dall'intelligenza artificiale non rientrano tra quelli protetti dal Primo Emendamento.
Il tribunale ha inoltre autorizzato la prosecuzione della causa anche contro Google, sottolineando i possibili legami tra il colosso tecnologico e Character.AI, come personale condiviso e collaborazioni tecnologiche.
Questa vicenda è destinata a creare un precedente importante nella definizione delle responsabilità legali degli sviluppatori di intelligenza artificiale, in particolare rispetto all'impatto psicologico che le interazioni con l'AI possono avere sui minori.